Costruire fiducia, consumare fiducia. Come si misura lo spread di capitale sociale
cooperare . ibridazioni . valore condiviso
Tanto si è detto e scritto sul tema della fiducia , del ruolo che riveste nella società – nel rapporto tra persone e in quello con le istituzioni che la compongono (Stato, Mercato, Terzo settore).
La fiducia è oggi risorsa scarsa ed elemento che permette non solo di instaurare relazioni durature e generatrici di capitale sociale, ma anche di rendere efficienti i processi all’interno del tessuto economico e aziendale presente in una società o nel più ampio, globale sistema finanziario, come ben ci ricorda Marzano: «Comunque sia, affinché un sistema borsistico possa funzionare ci vuole un minimo di fiducia, in particolare da parte di chi investe i propri capitali: per prendere una tale decisione, bisogna potersi fidare di chi emette i titoli e di chi li valuta; bisogna essere convinti che le informazioni che si ricevono […] siano esatte e complete».
Ma come possiamo misurare la fiducia? Cosi come lo spread può essere inteso come proxy del livello di sfiducia nei confronti delle istituzioni nazionali, sfiducia che si ripercuote sui mercati finanziari, la dotazione di capitale sociale è la proxy più diffusa per misurare la qualità delle relazioni e di fiducia all’interno di un territorio. Ma se, da un lato, le conseguenze degli aumenti dello spread sono sotto gli occhi di tutti, quali sono invece i “costi” della mancata diffusione o dell’erosione di fiducia nei territori? Cosa genera una continua erosione di capitale sociale?
Per comprendere quali possono essere le conseguenze derivanti dalla mancanza di fiducia generalizzata, è prima necessario definire le diverse categorie di capitale sociale , che sono almeno tre: la prima, bonding, è la rete di relazioni fiduciarie che si instaura all’interno di determinati gruppi sociali omogenei (capitale sociale intragruppo, es. il “familismo”). La seconda categoria, bridging, invece è l’insieme delle reti fiduciarie tra membri di gruppi diversi ed eterogenei appartenenti ad ambienti socio-economici e culturali diversi (capitale socialeintergruppo). Infine il capitale sociale di tipo linking, riguarda relazioni di fiducia verticali che collegano individui o reti sociali di appartenenza a persone o gruppi che si trovano in posizioni di potere diverso (capitale sociale di collegamento).
Come si può intuire non tutte queste forme di capitale sociale sono da intendersi positivamente. La metafora del colesterolo “buono” e “cattivo”, proposta da S. Zamagni, aiuta a comprendere il senso di tale affermazione: «Quando misuriamo il colesterolo, troviamo due tipi di grassi nel sangue, i saturi e gli insaturi e cioè quelli che fanno male e quelli che fanno meno male. Nel nostro caso è la stessa cosa: non basta dire solo capitale sociale. Se in una realtà geografica c’è troppo capitale sociale di tipo bonding è un male, non è un bene. Nel Sud la maggior parte delle reti di fiducia le troviamo tra i membri di un stessa famiglia, del casato, del parentado e il rischio è quello, come accade spesso, di diventare un gruppo chiuso e di non fidarsi più degli altri. […]».
Diventa quindi indispensabile alimentare quel capitale sociale “buono” capace di fertilizzare e far crescere la qualità delle relazioni e con esse l’economia e la qualità della vita. Ma chi sono i generatori di questo bene tanto scarso quanto prezioso? La risposta la si recupera in tutte le statistiche socio-economiche e nella letteratura scientifica che identifica le organizzazioni della società civile come l’elemento indispensabile per attivare meccanismi e norme sociali ispirate al bene comune e alla fiducia reciproca.
Dove è maggiore la presenza delle Organizzazioni dell’economia sociale , mediamente è maggiore la dotazione di capitale sociale e migliore risulta il funzionamento delle istituzioni e del mercato. Ciò avviene perché questi soggetti contengono almeno tre grandi diversità:
1) diverse motivazioni (intrinseche) del proprio capitale umano
2) diverse finalità (not-for-profit e orientate all’interesse generale)
3) diversa governance (democratica)
Sostenere il pluralismo dei soggetti che operano nel mercato diventa quindi un modo per produrre anche capitale sociale “buono”: quello che permette di ridurre le disuguaglianze e di facilitare uno sviluppo sostenibile.
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