Impresa sociale: alla ricerca di un nuovo “ibrido ideale”

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@Editormanque

“In search of the hybrid ideal” è il titolo di un saggio pubblicato nel 2012 su Stanford Social Innovation Review. Un titolo che riassume efficacemente il metodo da seguire per dar vita a nuovi progetti d’impresa dove la produzione di valore economico e d’impatto sociale proseguono di pari passo, senza che il secondo si riduca a una mera esternalità rendicontata “a conti fatti”. Il primo metodo è quello della ricerca, perché già esistono soggetti che in modo più o meno consapevole ibridano componenti di organizzazione e governance provenienti da ambiti diversi. Il secondo è la tensione all’individuazione di un tipo ideale, una sorta di “prototipo” organizzativo relativamente stabile che possa arricchire il quadro delle istituzioni sociali ed economiche rendendosi disponibile non solo all’interno di nicchie, ma in diversi contesti, innovando così alla radice i modelli dell’azione economica e sociale. 

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Quello stesso saggio analizza un processo di ibridazione ben preciso perché guarda al modo in cui una quota crescente di imprese for profit incorpora elementi di socialità per rigenerare gli oggetti della produzione e, più in generale, la legittimazione presso consumatori che, come sostiene l’economista Leonardo Becchetti, “votano con il portafoglio”, spostando cioè i loro consumi verso prodotti e servizi dove l’attenzione alle comunità locali, alle condizioni ambientali, al rispetto dei diritti dei lavoratori rappresentano criteri di scelta sempre più rilevanti.

C’è però un altro percorso da seguire oltre alla “nonprofitization del business” e che è stato indagato dalla ricerca di Aiccon per conto del Gruppo cooperativo Cgm. Si tratta dell’ibridazione che muove dal campo nonprofit verso nuovi modelli di impresa. Un processo che, come mostrano i risultati, appare decisamente avanzato. In primo luogo perché ormai si dipana nel medio periodo. I soggetti nonprofit “che hanno fatto l’impresa” a partire dai primi anni ‘80 sono più di undicimila grazie alla forma giuridica della cooperazione sociale. In secondo luogo perché questa prima stagione di ibridazione che si è affermata grazie all’apertura di nuovi mercati in settori chiave del welfare – sanità, assistenza, educazione – è oggi soggetta a tensioni di segno opposto. La cooperazione sociale cresce in modo impetuoso (+ 98% dal 2001 al 2011 secondo l’Istat) ma da un paio d’anni a questa parte si trova ad affrontare una crisi che non è della domanda, anzi, ma di un modello di business che è basato soprattutto sulle catene di subfornitura della Pubblica Amministrazione e che oggi non è in più in grado di generare le risorse necessarie non solo per lo status quo, ma per rispondere a un’evoluzione dei bisogni che aumenta per dimensione e per segmentazione interna. Ecco quindi apparire una nuova generazione di ibridi organizzativi, nuove start-up sociali dove la cooperazione non rappresenta quasi mai la forma, ma la matrice di riferimento rispetto alla quale riconvertire forme societarie di origine commerciale. La risposta alle sfide attuali richiede infatti una maggiore propensione all’investimento e quindi l’attrazione di risorse finanziarie dedicate, così come richiede di allargare lo spettro dei portatori di interesse oltre la partnership tra pubblico e nonprofit. Inoltre è sempre più evidente l’intento di rafforzare un’offerta di socialità non solo in senso stretto – i servizi assistenziali e sanitari – ma anche veicolandola attraverso iniziative di coesione sociale che fanno leva su economie esterne come il turismo, la produzione culturale, la tutela dell’ambiente. Le unità imprenditoriali censite non sono molte – circa una settantina – ma sono in grado di catalizzare importanti quantità e qualità di risorse e di commitment dei promotori, assumendo così un peso specifico tale da esercitare un cambiamento organizzativo su larga scala, non solo nell’alveo originario (l’economia nonprofit), ma anche presso tutti quei soggetti che nell’innovazione riconoscono la loro missione. Se anche la normativa saprà accompagnare questo processo e se si sapranno costruire joint ventures mirate con altri attori come le startup innovative, allora i nuovi ibridi organizzativi di matrice cooperativa potranno giocare un ruolo significativo per una scala sistemica del cambiamento.

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