Organizzazioni ibride come misura del cambiamento
cooperare . ibridazioni
“Basta la parola” recitava una famosa reclame qualche anno fa. Uno slogan che potrebbe funzionare anche per gli ibridi organizzativi. E’ sufficiente citarli, riferendoli alle esperienze più diverse, per alimentare un dibattito che, come si suol dire, la prende larga. Le posizioni infatti si collocano lungo un range amplissimo che va dal “queste cose ci sono sempre state” al “non esistono”. Concentrarsi sulle polarità non serve a nulla per cui ci auguriamo che l’uscita del nostro libro Ibridi organizzativi. L’innovazione sociale generata dal Gruppo cooperativo Cgm possa contribuire a evidenziare le molteplici (e più interessanti) “shades of gray” dei processi di ibridazione.
L’opzione di valore che è all’origine del libro è molto semplice e altrettanto impegnativa. La presenza di soggetti organizzativi la cui innovazione è rappresentata da inedite combinazioni di economia e socialità è una delle migliori misure del cambiamento in atto e quindi del fatto che si può disporre di nuove “società veicolo” per agire all’interno di un nuovo paradigma. Il disegno dell’indagine si è sviluppato in un contesto – quello della cooperazione sociale e in particolare del suo network di riferimento – che nel corso degli ultimi decenni ha manifestato una spiccata propensione a generare e a farsi coinvolgere in processi di ibridazione e che oggi si trova nella necessità di ri-metterli a regime. Necessità che deriva sia dal consueto tema di come rispondere a bisogni crescenti e differenziati, sia – e questa è una (relativa) novità – dal problema di aggiornare il proprio modello di business messo sotto pressione dalla crisi della finanza pubblica.
I risultati dell’indagine evidenziano che, in effetti, esiste una popolazione di impresa sociale con caratteristiche tali da candidarsi a operare in contesti sociali e mercati nuovi, dove quindi la scala del cambiamento è la discontinuità e non l’incrementalismo che ha accompagnato la “golden age” della cooperazione sociale nei mercati pubblici. A dirlo sono diversi indicatori, nessuno dei quali è esaustivo di per sé, ma se presi nel loro insieme fanno il click del cambio sistemico: l’origine di queste iniziative – sempre più imprese rete -, il loro assetto giuridico organizzativo – imprese di capitali con in cabina di regia cooperative -, l’intensità di utilizzo di risorse finanziarie, la conformazione di processi produttivi che incorporano valore sociale anche fuori dai campi tradizionali del welfare, una più spiccata propensione a mettersi in filiera con soggetti diversi.
L’ibrido organizzativo non si propone come una nuova soggettualità economica, ma un diverso stadio evolutivo dell’impresa sociale nato dalla tensione ad innovare e a cercare dentro il perimetro della domanda pagante (market) nuovi modelli di business competitivi e sostenibili.
Esiste quindi una nuova matrice cooperativa, se non in senso stretto (giuridico) certamente come principio di regolazione. Ma mancano ancora alcuni passi decisivi per consolidarla e renderla disponibile anche oltre il perimetro relativamente ristretto entro il quale è stata fin qui sperimentata. In particolare assume un ruolo chiave il tema delle competenze e, più in generale, delle culture imprenditoriali che sono alla base di queste iniziative, oltre ai dispositivi di accompagnamento che ne accelerino e ne diffondano la crescita. Rispetto a queste esigenze anche la conoscenza viene chiamata in causa. La letteratura scientifica fino ad oggi disponibile ha letto fenomeni di ibridazione come “incontri ravvicinati” tra profit e nonprofit, ma solo del primo tipo, cioè a distanza. I dati e le esperienze di questa indagine ci hanno consentito di leggere ibridazioni più ravvicinate ed evolute che abbiamo raccolto in questo volume e che, se vi fa piacere, potremo discutere con voi.
Ancora nessun commento, ma potresti essere il primo a lasciarne uno