Metti un marketplace nella rete
cooperare . imprenditorialità . valore condiviso
Due indizi fanno una prova, come si suol dire. E dopo il famoso “buy social” promosso da Social Enterprise UK, anche Locality – la rete degli asset comunitari inglesi – da’ vita al suo marketplace. Un luogo – virtuale – dove prodotti e servizi possono essere scambiati tra i nodi della rete e tra questi e i loro principali stakeholder. Conta (relativamente) poco che si tratti di iniziative embrionali ancora lontane dal raggiungere una adeguata massa critica. Quello che conta è l’insegnamento per i network del terzo settore e dell’impresa sociale (e non solo). Dar vita a un sistema strutturato di scambio è il miglior modo sia per rinforzare i legami interni, sia per intraprendere una strada virtuosa di ibridazione. Me ne sono reso conto qualche giorno fa partecipando al camp di Bollenti Spiriti, uno dei più interessanti esempi di innovazione delle politiche giovanili. Eravamo in un padiglione della Fiera del Levante: da una parte la zona dedicata a seminari, convegni, presentazioni. Dall’altra gli stand delle startup imprenditoriali che hanno beneficiato del programma. Chiaro l’intento informativo e di contaminazione positiva tra mondi diversi, considerando ad esempio la presenza di molte scuole. Ma, forzando di poco la mano, si poteva trasformare quel contesto nel luogo che lo ospitava… una fiera, dove è possibile vendere e scambiare beni e servizi, legati, senza andare troppo in là, ad ambiti chiave come i servizi di orientamento professionale, di cultura e ricreazione, di welfare ecc.
Gli esempi potrebbero proseguire. Anche nella nostra ricerca abbiamo approfondito casi come il marchio “Pane Cotto” ideato dal consorzio la Città Essenziale di Matera dove la rete consiste, in buona sostanza, in una economia locale che produce e redistribuisce valore sociale (protezione sociale) e ambientale (qualità della produzione agricola). Due esempi che vengono da Sud, anche in questo caso fanno una prova? Forse sì considerando che si tratta di contesti socio ambientali dove la scala dei bisogni è così alta da rendere relativamente più semplice individuare gli interlocutori per fare una rete con il marketplace – anche piccolo, di resilienza – incorporato. Così anche le reti diventano ibride, superando di gran carriera i modelli precedenti (reti come coalizioni di interessi e reti come strutture di servizio). Ibride non solo perché sono multi-stakeholder, cioè associano soggetti diversi, ma perché combinano, in una costante ricerca di equilibrio, principi di regolazione diversi: si aprono al mercato, agiscono la reciprocità e, non ultimo, si dotano di assetti di governance che stanno nel mezzanino tra orizzontalità al limite dell’informale e verticalità gerarchica. Un apprendimento utile anche per le piattaforme di (autentica) sharing economy come la nuovissima “Piacere Milano” che rispetto alla dimensione di scambio misurano l’efficacia delle relazioni e la tenuta della loro community.
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