Tre cantieri per l’anno che verrà..

cooperare . ibridazioni . imprenditorialità . valore condiviso

@paoloventuri100

Sull’identità delle imprese sociali.

L’identità delle imprese? Un conto è riconoscerla, un altro è #costruirla.

Se l’identità è un insieme di caratteristiche che connotano di sé un soggetto ed è qualcosa che è frutto di un processo di scelta, è evidente che essa non “si dia” una volta per tutte. Infatti, quello identitario è un fenomeno prettamente morfogenetico, un fenomeno cioè ad elevato grado di cambiamento che evolve sia per spinte interne sia in seguito alle trasformazioni della società in cui il Terzo Settore è inserito.

In tal senso, la #costruzione – e non già la scoperta – dell’identità comporta sempre che un confine mobile venga tracciato. E ogni confine, per il fatto stesso di separare interno e esterno, comporta sempre il rischio della difesa ad oltranza della propria identità. Ciò che la rende precaria e pericolosa. Precaria perché un’identità che non riesce a vedere l’altro non è sostenibile alla lunga; pericolosa, perché un’identità che non si pone in discussione degenera, prima o poi, nell’integralismo, cioè nel rifiuto a priori della diversità dell’altro.

In questo senso, il percorso sugli ibridi (oggi finalmente mainstream)  è nato proprio con il duplice intento di promuovere da una lato una linea di ricerca legata all’osservazione e lo studio di nuove  forme d’impresa  e dall’altro di incentivare una nuova stagione di policy sull’imprenditorialità sociale “di nuova generazione” . Se la crisi di questo Governo bloccasse l’emanazione del Decreto sull’impresa sociale ( già definito nelle sue parti) il danno sarebbe significativo perchè verrebbe meno un dispositivo efficace per produrre valore per la comunità e lavoro per i giovani.

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Sulla Cooperazione di comunità.

Grande è la valenza, delle numerose esperienze che quest’anno sono emerse per rigenerare la vita, l’economia e il welfare di molti luoghi. Ma riflettendo, il valore più grande della nuova imprenditorialità su base comunitaria, è indubbiamente la capacità di non separare la dimensione deliberativa (democrazia) da quella produttiva (mercato). Abbiamo un gran bisogno di ricongiungere mercato e democrazia per scongiurare il duplice pericolo dell’individualismo e della tecnocrazia statalista. L’individualismo si afferma quando ogni membro della società vuol essere il tutto; centralismo invece quando a voler essere il tutto è dimensione collettiva. Nel primo caso si esalta a tal punto la diversità da far morire l’unità dell’agire comune; nel secondo, per affermare l’uniformità, si sacrifica la diversità.

La dimensione profetica e segnaletica delle cooperative di comunità risiede proprio in questo: muovere l’agire comune per generare  economie di scopo e nuove forme di democrazia deliberativa legate ai luoghi.

Sul Welfare di comunità. 

L’ultimo pensiero va al  Welfare. Cosa c’è alla base della diversità di richieste dei cittadini di oggi rispetto a quelli di ieri nei confronti dello stato sociale? C’è che – come già aveva anticipato qualche tempo fa A. Giddens – nel passaggio dalla fase fordista a quella post-fordista è mutata la natura propria dei rischi che lo stato sociale ha inteso combattere. Proteggere il cittadino dalle avversità connesse agli andamenti negativi del ciclo economico e agli eventi di natura (perdita del lavoro; perdita della salute; sostegno a vecchiaia, ecc. ) è da sempre la cifra dei vari istituti del welfare. La novità è che, mentre nella fase di sviluppo precedente a quella attuale, la sicurezza era minacciata da fattori che sono esogeni rispetto ai piani di vita dei singoli e della politica, nella fase attuale l’insicurezza è diventata, in larga misura, endogena… nel senso che la distorsione è attribuibile al modo stesso in cui la società si organizza e, soprattutto, al modo in cui viene prodotta la ricchezza.

Per questo motivo, anche in termini di Welfare, sarà sempre più decisivo come produciamo e consumiamo: se non orientiamo le nostre scelte, risparmi e tempo verso modelli di sviluppo comunitario e relazionale, la società dell’incertezza (strutturale) rischia di essere il piano inclinato su cui siamo chiamati a rincorrere la vita.

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